giovedì 30 settembre 2010

Infondatezza dell'ateismo, parte IV

Fratelli, porre la Verità nel finito, significa porla nel divenire. Ciò che diviene, come ha avuto un inizio, così ha una fine, per necessità, altrimenti sarebbe eterno. Ma se la Verità è nel finito, allora anch’essa è destinata a finire, e finirà quando l’ultimo uomo morirà, poiché il linguaggio e l’interpretazione, ove alcuni filosofi pongono la Verità, cesseranno di essere, in quanto sono solo finché è l’uomo. Qui, tuttavia, fratelli, si apre una parentesi che è saggio affrontare subito.
Questi filosofi eccelsi sostengono che non noi possediamo il linguaggio, ma ci troviamo già nel linguaggio. Ciò è corretto, poiché un umano essere nel momento in cui nasce è già circondato dal linguaggio, che non è solo il linguaggio verbale umano. Che poi sia ciò a dare esistenza, ne tratteremo in seguito. Da qui sostengono poi con processi di derivazione poco chiari e che fanno capo ai pensieri di Nietzsche, Heidegger e altri filosofi a noi vicini nel tempo, che la Verità è nel finito. Ora, dobbiamo convenire che o sono degli stolti, oppure che non intendono la Verità, ma le verità. Infatti, moltissime sono le verità, una per ogni io, e sono soggettive e relative e sono verità per l’io e per gli io che le accettano. Esse tramite il linguaggio si esplicano, si comunicano e tramite il linguaggio l’uomo si interroga sulla verità e la ricerca. Tuttavia, queste sono verità del finito, poiché sussistono solo finché l’uomo vive o, se si vuole estremizzare, finché il linguaggio è. Tuttavia, anche il linguaggio è finito, sia come capacità sia in sè, poiché quando non più l’umanità sarà, nemmeno esso ancora sarà. E ciò mostra come sia il linguaggio a dipendere dal’uomo, e non l’uomo dal linguaggio; ma di ciò ne tratteremo più avanti. Ora, fratelli, una verità finita che solo sul finito si basa, potrà mai appagare il desiderio di risposte dell’umanità? Mai. Solo una verità che si rifà alla Verità, intesa come unica e veramente vera, potrà farlo. Una tale verità è per forza una verità metafisica nel senso classico, ovvero una verità che va oltre questo mondo, oltre il finito, ed è assoluta e infinita. La verità finita può considerare se stessa come una tale Verità; e ciò fanno coloro che oltre alle leggi della scienza e della natura nulla ammettono, coloro che, insomma, assolutizzano il loro pensiero e lo pongono come Vero assoluto. C’è chi lo fa in nome della Verità, facendo coincidere il più possibile il proprio pensiero con la Verità, e allora è nel giusto, poiché non lo fa in forza di se stesso, ente finito, ma della Verità stessa infinita. Chi lo fa solo in forza di se stesso assolutizza ciò che è finito, il suo pensiero, senza che esso poggi su nient’altro che se stesso. Dunque senza alcuna leggittimità.
Altrimenti, è necessario porre come Verità vera qualcosa che trascende l’uomo e il linguaggio e il finito, qualcosa di assoluto e infinito, e che proprio grazie all’assolutezza e all’infinità è Vera, poiché fra un assoluto e un non assoluto, è l’assoluto ad essere Vero, Giusto, Buono e quant’altro, dato che si prende come termine il meglio e meglio dell’assoluto nulla è.
Questa Verità assoluta e infinita, per quanto, proprio perché tale, oltre la nostra portata, è la sola a poter porre termine alla ricerca della Verità vera, e la ricerca sarà sull’interpretazione e sulla comprensione di questa vera Verità. Se ci si ferma alle verità finite, la ricerca mai avrà fine e mai l’umanità sarà almeno in parte appagata e mai sarà possibile sostenere che qualcosa sia giusto o ingiusto, buono o non buono, vero o non vero.
 
 
(16 Luglio 2010)

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