sabato 23 giugno 2012

La Verità e le verità


Vi sono tre livelli di verità, tutti a loro modo veri e reali.
Il livello più basso è costituito dalle innumerevoli verità. Ogni persona ha una propria sua personale verità, qualcosa che ritiene vero e in cui crede. Queste verità sono numerose come gli esseri umani. Alcune di esse possono essere condivise da più persone, ma sempre ognuno apporterà qualche lieve modifica alla verità condivisa. In realtà, ogni persona ha più di una di queste verità. Esse sono verità relative, esse mutano col tempo e il tempo le spazza via, come la sabbia del deserto. Crescono con l’uomo a cui appartengono, mutano ed evolvono e muoiono prima o poi. Esse sono verità deboli e fragili e la marea spesso le lava via.
Al capo opposto, al vertice della piramide, vi è la Verità, unica, immutabile, eterna, sempre uguale a se stessa, non soggetta al cambiamento, né a nascita né a morte. Essa è la Verità divina ed è il sole che illumina i pianeti, il sole di ogni stella.
Fra le verità e la Verità vi è una posizione intermedia. Una verità che appartiene alle relative verità ma allo stesso tempo appartiene anche alla Verità. Una verità finita illuminata di eternità, e per ciò stesso tendente all’eternità. Una verità dove finito ed infinito vengono ad unirsi. E’ la verità della Chiesa. In quanto verità d’uomini, essa muta col trascorrere del tempo e delle persone. In quanto Verità divina, essa mantiene sempre il medesimo messaggio di fondo, essa è eterna. Non muta pur nel suo mutare. Sempre uguale eppure sempre diversa, come il ritmo delle stagioni, che sempre si ripetono nel medesimo ordine ma sono ogni anno differenti dall’anno prima.
Dunque, se le verità delle persone sono caduche, la verità della Chiesa non lo è, poiché affonda le sue radici nell’eternità. 

mercoledì 9 maggio 2012

Sulla paura


Nel giornalino scout FSE “Tracce” di Maggio si affronta il tema dela paura. Due articoli mi hanno interessato maggiormente, non per le profonde verità espresse ma per i sottili errori che vi trovo.
Il primo dei due è scritto da una delle capo o aiutocapo, non è specificato. Inizia raccontando che da piccola aveva paura del buio e che in particolare vi era un lungo corridoio della sua casa alla fine del quale vi era il truce ritratto di una antenata che temeva di attraversare. Per risolvere il problema si era creata una specie di amico immaginario che la proteggeva. Nel mezzo si accenna anche a Don Abbondio, che diceva: “Il coraggio, uno non se lo può dare”, affermando di aver sempre provato rabbia verso il personaggio e quelli come lui. L’articolo si conclude come segue:

“Sono passati tanti anni, ogni tanto ho ancora paura del buio. L’amico inventato a volte torna, ma per ricordarmi che non ho più bisogno di lui, ora ce la devo fare da sola”.

Farcela da sola? Questo è uno degli innumerevoli problemi dell’uomo occidentale odierno, la convinzione di potercela fare da solo. Questa fissazione, come si vede, la si ritrova anche fra gli scout FSE, teoricamente cattolici, e non fra i ragazzini e i bambini, ovvero fra gli esploratori e i lupetti, bensì in primo luogo fra i rover e le scolte, ovvero gli aiuti capi e i capi.
L’arroganza e la stupidità dell’uomo contemporaneo si esprimono benissimo nel convincimento di poter vincere la paura da soli, con le proprie sole forze. Mettiamo pure, per ipotesi, che da soli si possa vincere la paura del buio, ammettiamolo pure. Quando si va a vedere la vera paura, ovvero la paura più profonda di cui quella del buio è solo una manifestazione, la paura dell’ignoto, come la mettiamo? L’uomo teme l’ignoto, ciò che non può conoscere e che non comprende, e il dopo morte è per eccellenza l’ignoto e ciò che non è conoscibile e comprensibile. L’uomo occidentale al momento ha esorcizzato questa paura con l’espediente di relegarla nei cimiteri e negli ospedali, ovvero a quando si è costretti a trovarsela innanzi. Di fatto, non l’ha vinta, l’ha solo nascosta, facendo finta che non esista. Il risultato ovvio e scontato di questo atteggiamento è che quando si è costretti, per qualunque motivo, a dover trattare con questa paura, non si è pronti e si viene vinti in un attimo. Montaigne consigliava di pensare alla morte ogni giorno, per non farsi trovare impreparati. Non era poco saggio tale consiglio. Farlo non significa vivere nella paura della morte; significa accettarla con serenità.
I cattolici, come dovrebbero esserlo gli scout, dovrebbero riuscire a farlo con una facilità maggiore, poiché, nel loro caso, cade l’ignoto. I credenti sanno, sebbene non nei dettagli e come, cosa c’è dopo la morte.
Ma nemmeno questo basta perché l’uomo possa farcela da solo. Il coraggio non appartiene alle virtù teologali, sicché l’uomo può costruirsi la virtù del coraggio. Può costruirla, senza calce. La calce gliela deve dare qualcun altro. Senza questo qualcun altro, quando il vento soffierà con più violenza o quando la terra tremerà con più forza o quanto l’acqua cadrà dal cielo con più veemenza, la casa, non tenuta assieme da nulla, andrà in pezzi.
Questo qualcun altro è Dio e la calce che egli dona è la Fede, la sua forza e il suo sostegno, senza i quali l’uomo non potrebbe nemmeno respirare. L’uomo non può farcela da solo. Ha bisogno di Dio.

Anche al povero Don Abbondio il cardinale dice, infine, che si trtta di confidare in Dio, che vince le umane debolezze e paure.


Nello stesso giornalino vi è un articolo di un sacerdote, Don Fabio Gollinucci.
Dopo la citazione del brano della Genesi in cui il Serpente tenta Eva e lei ed Adamo si nascondono da Dio per paura, il sacerdote annuncia di avere una buona notizia per il lettore.
“Infatti quello che sto per annunciarti non è una bella tesi filosofica o teologica.”.
Ho sempre notato che il mondo scoutistico non è particolarmente incline alla filosofia e alla teologia e questa frase mi fa supporre che anche i sacerdoti che lavorano assieme agli scout rimangano contaminati da questo atteggiamento. Al di là di questo e al di là dell’articolo, con il cui messaggio di fondo sono d’accordo (ovvero che Dio cerca sempre di ricostruire il rapporto con l’uomo e che senza Dio l’uomo è perso e in preda alla paura), al di là di tutto questo mi ha colpito l’affermazione, che il sacerdote trae dal brano della Genesi detto sopra, che:
“Il male non viene mai da Dio e nemmeno dall’uomo, ma dall’esterno, come un inganno che lo spinge a non fidarsi più di Dio e per paura fare scelte sbagliate (ma questo non toglie all’uomo la sua libertà di fondo)”.
E da dove viene il male allora? Come accade sempre più spesso con i sacerdoti odierni, e in generale con i cristiani d’oggi, il Diavolo, che pure aleggia vagamente sullo sfondo, non viene nominato. Troppa paura per chiamarlo in causa e riconoscergli il ruolo e il potere che ha? O troppo astuto e abile il Diavolo che è riuscito ormai a farsi dimenticare dall’umanità, compresi i preti? Lo ignoro. In ogni caso, se il male viene dall'esterno, vuol dire che qualcuno o qualcosa, che è esterno, lo fa venire in contatto con l’uomo. È il nome di questo qualcuno/qualcosa che non viene menzionato dal sacerdote, sì che potrebbe pure non essere il Diavolo. Ad ogni modo, qualunque cosa sia, posto che il male è sempre esterno, vuol dire che questa cosa è il Male. Se lo è, però, allora sarebbe qualcosa di pari a Dio.
Se considerassimo il male qualcosa di interno prima che esterno, la cosa acquisterebbe più senso invece. Nulla era malvagio in origine, nemmeno Lucifero. E’ stata una scelta del Diavolo quella del male, il che significa che il male lo precedeva, oppure che è comparso con lui. Il male è uno stato, l’essere separati da Dio. Il Signore, donando la libertà, ha concesso la possibilità del male. Il male era in potenza. Satana è stato il primo a trasformare la potenza in atto. Poi ha spinto l’uomo a fare altrettanto, ma è sempre una scelta personale dell’uomo. Era, e siamo, liberi di scegliere. La tentazione è esterna, non il male, poiché il male deriva da una scelta che è interna all’uomo. Il Serpente è solo un fattore contingente che tenta Eva; è Eva che sceglie il male internamente.




mercoledì 28 settembre 2011

Un senatore del PdL e il Medioevo

Fuori dallo studio di un professore di storia di Ca’ Foscari (università di Venezia) c’era appeso questo. Purtroppo, non so la data di quando questo discorso sarebbe stato pronunciato/pubblicato. E’ stato esposto dal professore immagino per far conoscere alle persone chi è che ci governa.




La Storia Medievale secondo un senatore del PDL


Dibattito Parlamentare


RAMPONI (pdl) Non riesco a comprendere, innanzitutto, che cosa ancora ci sia da ricercare sul Medioevo. Per dirla francamente, vi sono centinaia di migliaia di studi, pubblicazioni e libri che da trecento anni riempiono le biblioteche e che godono di una discreta consultazione. L’importanza di conoscere la propria storia si esplica nello studiare la storia, non continuando per centinaia di anni a fare ricerca.

In secondo luogo, l’Italia dedica certamente poche risorse alla ricerca, ma quelle poche necessitano di un discernimento nella scelta. Ebbene, a me non sembra che sia così necessario studiare il Medioevo e varare addirittura una legge per sostenere quattro istituti che fanno ricerca su tale periodo, ricerca che, tra l’altro, viene svolta anche da tanti altri enti a livello universitario.


Voi parlate di turismo e di prestigio della nostra storia, ma se c’è un periodo durante il quale la nostra storia ha ben poco prestigio è proprio il Medioevo. Quindi, potremmo anche concentrarci a diffondere valori della nostra cultura là dove sono veramente grandi.




“Non riesco a comprendere, innanzitutto, che cosa ancora ci sia da ricercare sul Medioevo. Per dirla francamente, vi sono centinaia di migliaia di studi, pubblicazioni e libri che da trecento anni riempiono le biblioteche e che godono di una discreta consultazione”.
E’ indubbiamente vero che vi sono moltissimi studi e pubblicazioni sul Medioevo, ma forse al sommo senatore sfugge un minuscolo particolare: in qualunque ambito si continua a studiare, a fare ricerca, a progredire, e non si rimane fermi sulle posizioni di un secolo prima (o addirittura di un anno prima). Altrimenti, perché non rimanere all’efficace medicina del ‘600? In base a nuove scoperte, si possono fare nuove considerazioni, nuove ipotesi, comprendere punti precedentemente oscuri, rimettere in discussione precedenti teorie e porsi nuove domande. E questo, però, non solo grazie a nuove fonti scoperte, ma semplicemente grazie al fatto che ogni persona è diversa dalle altre, che le generazioni si trovano in climi culturali diversi, e dunque si pongono domande diverse. Infatti, alla storia vengono poste domande che servono per l’oggi. “La storia è sempre storia contemporanea” sostiene Croce. Nuove domande portano nuove risposte, e le nuove risposte inevitabilmente generano altri dubbi. Un documento può essere esaminato per ricevere risposte, diverse, a diversissime domande. La ricerca non è mai finita, così come in qualunque altra disciplina degna di questo nome. Perché non abbiamo più il sistema tolemaico? Perché qualcuno ha fatto ricerca. Perché non ci siamo fermati alle scoperte di Galileo e Newton? Perché la ricerca è continuata, e continua ancora, nonostante l’enorme mole di studi e libri pubblicati.
Probabilmente, però, il dotto senatore ce l’ha su col Medioevo perché la ricerca in tale ambito non procura una ricchezza immediata e i benefici che può dare sono troppo difficili da applicare, e forse non sono così voluti dalla classe politica.

“L’importanza di conoscere la propria storia si esplica nello studiare la storia, non continuando per centinaia di anni a fare ricerca”.
Ma certo! Come abbiamo potuto essere così idioti? Livio e Tacito hanno già scritto della storia di Roma antica, quindi perché tanti altri stupidi, nel corso dei secoli, hanno sprecato il loro tempo a studiarla e a fare ricerca? C’erano già Livio e Tacito, avevano già fatto ricerca loro e già ci avevano presentato la storia di Roma! Perché investigare ancora? Detta in altri termini: perché voi, massa popolare, dovreste far ricerca e scoprire qualcosa di nuovo, farvi un’idea ed eleborare teorie o perlomeno vostri convincimenti? Voi studiate la storia che vi diamo noi, e basta!
Mussolini non avrebbe potuto essere più d’accordo.


“In secondo luogo, l’Italia dedica certamente poche risorse alla ricerca, ma quelle poche necessitano di un discernimento nella scelta. Ebbene, a me non sembra che sia così necessario studiare il Medioevo e varare addirittura una legge per sostenere quattro istituti che fanno ricerca su tale periodo, ricerca che, tra l’altro, viene svolta anche da tanti altri enti a livello universitario”.
Un’altra persona potrebbe rispondere che a lei non sembra così necessario investire nel campo bellico, dato che l’Italia teoricamente ripudia la guerra come strumento per risolvere le dispute e che, sempre in teoria, non siamo in guerra, ma impegnati in missioni di pace.
Non so quali siano i quattro istituti menzionati, ma so che le università hanno ben pochi finanziamenti per la ricerca e che molti corsi, sia di storia sia d’altro, vengono aboliti per mancanza di soldi. Dunque, chi è che dovrebbe farla questa ricerca?

“Voi parlate di turismo e di prestigio della nostra storia, ma se c’è un periodo durante il quale la nostra storia ha ben poco prestigio è proprio il Medioevo. Quindi, potremmo anche concentrarci a diffondere valori della nostra cultura là dove sono veramente grandi”.
Suppongo che l’illuminato senatore del PdL non abbia mai sentito parlare dei Longobardi (o che gli siano sfuggiti molti scritti che mostrano come il periodo longobardo non fu affatto di decandenza), del periodo dei Comuni, di Venezia, di Dante, Petrarca e Boccaccio, tanto per rimanere su cose note ai più. Forse il sapiente senatore è rimasto all’idea Quattro-Cinquecentesca di Medioevo, il Medioevo come età di oscurantismo e decandenza. Ma, in effetti, dato che il saggio senatore è contrario alla ricerca, è logico che sia rimasto indietro di 600 anni.
Sarebbe interessante sapere quali sono i periodi storici, secondo il senatore filosofo, che hanno dato veramente prestigio alla nostra storia. Contando che da circa metà ‘500 l’Italia è stata dominata da potenze straniere fino a quando il Re di Savoia si è ritrovato per caso re di Italia, e contando che, a quanto pare, secondo lui, il Medioevo non ha dato prestigio all’Italia, le soluzioni sono due: un’epoca di prestigio per l’Italia è o prima del Medioevo o dopo la dominazione straniera, quindi nell’800, grosso modo (contando che le prime spinte di indipendenza si ritrovano anche nella prima metà del secolo). La storia romana non può certo aver dato prestigio all’Italia per il semplice fatto che definire i romani italiani è piuttosto dura. Inoltre, per quanto alla Lega possa dispiacere, per lungo tempo l’Italia vera era quella sotto al Po, mentre a nord c’erano popoli considerati barbari, come i Galli. Ma forse alla Lega non dispiace: in fondo, pare che siano convinti di discendere dai Celti e, cosa veramente assurda, di conoscere le usanze celtiche. Inoltre, la cultura romana era troppo impregnata di Grecia perché il prestigio possa andare alla sola Italia, senza contare che la parte Occidentale dell’Impero decadde negli ultimi secoli di quella che viene considerata storia romana, sostituita, come importanza, da Bisanzio.
Dunque, la parte di storia che dà prestigio all’Italia deve essere quella dell’Ottocento e del Novecento. Nell’Ottocento  uno statarello ha creato, quasi senza volerlo, uno Stato ed è poi stato incapace di dirigerlo, salvo qualche parentesi qua e là. Nel Novecento, però, l’Italia ha l’Impero! E’ questo che dovrebbe darci prestigio? L’avere due scatoloni di sabbia, conquistati, fra l’altro, a prezzo di moltissime vite e ricorrendo, infine, ai gas, il cui utilizzo era teoricamente proibito? E che dire poi della partecipazione dell’Italia alle leggi razziali (che non sono un’invenzione, né un’imposizione, della Germania, smettiamola di prenderci in giro)? E poi c’è la fuga del re e lo sfascio dell’esercito e dello Stato italiano. Sono questi a darci prestigio?
Forse allora la seconda metà del secolo Novecento. Però, direi che nemmeno in questo arco di tempo c’è molto che possa dar prestigio all’Italia.
Non è che, forse, non bisogna cercare l’epoca storica che dà prestigio al singolo Paese, ma studiarle tutte? Fare ricerca su tutte? I valori della cultura italiana, ed europea, affondano nella storia greca, romana e celtico-germanica, e nel cristianesimo che le amalgamò e arricchì. I valori di una cultura non nascono in un anno, o anche 10 secoli, ma hanno una storia millenaria. Bisogna conoscerla, studiarla e investigarla tutta, se si vogliono davvero comprendere i valori e la propria cultura, cosa che al giorno d’oggi viene fatta ben poco.

Qui si parla di un singolo senatore, ma naturalmente, e purtroppo, egli non è che un’espressione di un sentire più comune e diffuso, pertanto quanto scritto si riferisce a tutti costoro e non a un singolo.

mercoledì 29 giugno 2011

Un orso vale quanto un uomo

Sono Ohana, quella vera, senza pregiudizi. Animali, uomini o extraterrestri sono tutti alla pari. Gli umani non sono superiori. Solo così si può essere una vera famiglia-Ohana. Dove nessuno viene mai abbandonato o dimenticato..e dove essere un orso vale quanto essere un uomo!...”.

Per curiosità, in un momento libero ho guardato su you tube il film della Disney “Koda fratello orso 2” (perlomeno mi pare che sia il titolo). Uno dei commenti al film di uno degli utenti di you tube è quello sopra riportato.
Ora, se essere un orso (o un qualunque altro animale) vale quanto essere un uomo, vuol dire una delle due seguenti cose: non si deve uccidere nessun animale, compreso l’uomo, poiché hanno tutti pari diritti, essendo uguali, nemmeno per nutrirsi; o uccidere un pollo o un bambino per mangiarsi un arrosto è la stessa identica cosa.
Spero che appaia ovvio quanto entrambe le affermazioni siano ridicole e pericolose.
Praticamente ogni cultura sul pianeta riconosce all’uomo un posto speciale, un essere particolare, perfino quelle culture che sembrano più vicine alla natura. Difatti, siamo noi contemporanei occidentali ad esserci costruiti da soli l’immagine di popoli, come gli Indiani d’America, che vivevano in perfetta armonia con la natura, un tutt’uno incontaminato e puro. E siamo sempre noi ad esserci convinti che gli animali provino sentimenti e pensino come un uomo: li abbiamo umanizzati. Purtroppo, perfino nei documentari trapelano queste convinzioni. Ad esempio, in un quache programma che vorrebbe passare per scientifico (non ricordo quale), tempo fa raccontavano di un tizio che aveva salvato un coccodrillo quando era ancora piccolo e ora i due pare che vivano in amore e d’accordo; lo scienziato interrogato al proposito ha affermato che gli animali sempre ricambiano l’amore e la bontà verso di loro. Tuttavia, è impossibile che un rettile lo faccia. I rettili non hanno l’intelligenza per arrivare a comportarsi come un mammifero. Un cane si affeziona al padrone, ma non come un uomo si affeziona a un altro uomo, bensì per l’istinto del branco; un rettile no. Quando il coccodrillo avrà fame si mangerà il suo amato padrone.
E’ successo a molti di quelli che si ostinano a tenere in casa, libero, uno dei grandi serpenti costrittori (boa e pitoni soprattutto): a un certo punto, il serpente inizierà a dormire, o comunque a stare, completamente disteso, cosa apparentemente non naturale. Al padrone stupefatto viene spiegato dal veterinario che il rettile sta prendendo le misure per mangiarselo.
I rettili (e, a maggior ragione, gli insetti, i pesci, e tutti gli animali non mammiferi) non sono sostituti del cagnolino. E il cagnolino non è il sostituto di una persona. Le persone parlano (gli animali non parlano come parla un uomo, è un linguaggio del tutto diverso di cui l’uomo ha l’esclusiva), operano scelte con una libertà che gli altri mammiferi se la sognano, provano sentimenti e sono capaci di controllarli, sono in grado di astrarre, ragionare, ecc. Un credente direbbe che l’uomo ha l’anima (e un credente di una qualche altra cultura avrebbe altri termini per esprimere la medesima differenza). Gli Orokaiva hanno un rapporto molto stretto con i maili, tanto che i cuccioli vengono allattati dalle donne e sono, in molti sensi, considerati bambini. Eppure, sono i bambini umani infine ad uccidere i maiali e distribuirne la carne agli abitanti del villaggio dopo i riti di iniziazione, perché il maiale è solo maiale, mentre l’uomo è sia maiale che uccello (gli uccelli rappresentano gli spiriti), e, dopo la morte, sarà solo uccello. 
La vita di un animale non può mai, in nessun caso, valere tanto quanto quella di una persona (e con persona si intende sempre un essere umano). Ciò non significa affatto giustificare il maltrattamento degli animali, la loro caccia senza ragione, o la caccia fino all’estinzione. La Genesi è piuttosto chiara in proposito: l’uomo dà il nome agli animali, il che vuol dire che li domina, ma ne è anche responsabile. Ma se una specie animale diventa pericolosa per determinai motivi, è giusto combatterla: in India muoiono ogni anno moltissime persone per il morso del cobra dagli occhiali, lì molto diffuso e amante delle case.
Inoltre, come la mettiamo con i batteri? Sono vivi, tutto sommato, eppure molti di loro sono dannosi per l’uomo. Non dovremmo combatterli?
Volendo poi allargare la cosa, allora anche le piante sono vive: moriamo tutti di fame in modo da non far soffrire né animali né piante mangiandole?
Anche gli extraterrestri sono alla pari con gli uomini: ciò è vero, a condizione che gli extraterrestri siano creature simili agli umani, ovvero dotati di tutte quelle caratteristiche che anche gli umani hanno. Perché extraterrestri sul nostro pianeta ce ne sono stati, se vogliamo: dei batteri, arrivati con degli asteroidi e, secondo una teoria scientifica, anche i virus potrebbero essere arrivati sulla Terra in maniera simile. Tali tipi di extraterrestri non possono essere comparati all’uomo.

Ritenere che vi siano culture con un legame più stretto con la natura rispetto a quello che ha ora la nostra cultura occidentale è certamente vero, ma è falso ed è errato credere che ci siano culture che considerino tutto alla stregua. La cultura è sempre frutto dell’uomo e, di conseguenza, ha sempre l’uomo al suo centro.
Al giorno d’oggi l’occidente guarda al passato ed elabora miti e fantasie da attuare nel presente: i culti neopagani che nulla hanno a che fare con la religione greca antica; questa specie di sciamenesimo importato dalle culture Indiane d’America, in cui uomo e mondo animale si confondono, senza capire niente di quel che le culture degli Indiani d’America erano; le pratiche Buddhiste e i credi orientali importati in occidente, spogliati di tutto il loro vero significato. Stiamo compiendo uno scempio, dettato dalla nostra ignoranza, presunzione e dal crollo della nostra cultura.


Quanto al termine Ohana: “Parte della cultura Hawaiana, ‘ohana significa famiglia in senso esteso del termine, che include la relazione stretta, adottiva o intenzionale. Essa enfatizza l'idea che famiglia e amici sono uniti assieme, e che devono cooperare e ricordarsi gli uni degli altri.” (da Wikipedia).

Prima di scrivere che qualcosa mostrato in un film è Ohana, bisognerebbe compiere uno studio di tipo antropologico su che cosa veramente è la famiglia di tipo Ohana per la cultura Hawaiana. Purtroppo, non ho letto nulla al proposito, ma se mi capiterà aggiornerò (pertanto non è escluso che sia quel che è espresso, sebbene quel che Wikipedia ci dice non lo lascia pensare. Ma Wikipedia non è una fonte sicura).

Fra parentesi, quel “Sono Ohana” dell’inizio del commento è riferito, credo, non alla persona che ha scritto il commento, ma alla scena finale del film, in cui i personaggi formano una famiglia unita di orsi (anche se due di loro in teoria erano uomini) amica del villaggio di uomini.

venerdì 13 maggio 2011

Democrazia di Atene, democrazia d'oggi

Credo che esaminare brevemente la democrazia di Atene possa illuminare molto sulle democrazie attuali, le quali pare che si richiamino molto a quella ateniese, tanto è vero che un passo del celebre epitaffio di Pericle, scritto da Tucidide, in cui lo storico fa esaltare dal politico la forma di governo di Atene, è stato incluso nella costituzione europea, da cui invece sono state escluse le radici cristiane.
Innanzi tutto, la democrazia che noi abbiamo in mente quando pensiamo ad Atene è la cosidetta democrazia radicale, instaurata nel 461 da Efialte, che riuscì a far sì che l’Assemblea cancellasse quasi tutti i poteri dell’Areopago, il vecchio organo di governo che aveva retto la città per molto tempo e che era, si può dire, l’espressione dell’aristocrazia (la quale non va intesa nel senso medioevale-moderno del termine. Gli aristocratici stessi non erano ben certi dei confini del loro ceto). Questa democrazia, effettivamente, prevedeva che tutti i cittadini fossero uguali, potessero partecipare al governo dello stato e all’esercizio della giustizia (due cose strettamente legate, a differenza di oggi), e potessero essere eletti a qualunque carica, tranne a quella di stratego e ad alcune importanti cariche finanziarie, che richiedevano una determinata preparazione e, solitamente, erano d’appanaggio dell’aristocrazia. Tuttavia, chi erano i cittadini? I cittadini erano un’esigua minoranza della popolazione. Vanno esclusi in primo luogo tutte le donne e tutti gli schiavi. Poi vanno eliminati coloro che non avevano entrambi i genitori ateniesi e gli stranieri, seppur residenti ad Atene. Vi è sempre stata una forte tendenza a ridurre il numero di coloro che erano cittadini (solitamente, ad ogni modo, era necessario possedere della terra in territorio attico). Il numero preciso di cittadini veri non lo si conosce, ma si tendeva sempre ad escludere piuttosto che includere.
Comunque, effettivamente, all’interno di questo gruppo di privilegiati, tutti votavano, tutti, a rotazione (tutti quelli che volevano, ad esser precisi) facevano parte dei tribunali e dei consigli; tutti potevano accedere alla maggior parte delle cariche. Il governo era in effetti nelle mani del popolo, che lo esercitava direttamente (vi erano moltissime votazioni da fare per ogni aspetto). Le cariche pubbliche venivano retribuite (cosa unica nel mondo greco), in compenso del tempo sotratto ai lavori necessari al mantenimento della persona; non molto, circa quanto un salariato medio del tempo. Ciò provocava lo scandalo degli aristocratici, in quanto l’aristocratico era spesso associato a chi, potendo vivere di rendita, aveva il tempo per dedicarsi alla cosa pubblica. Durante questo periodo, il periodo pericleo, in quanto dominato dalla figura di Pericle, Atene divenne la città più grande della Grecia, la più ricca e la più bella. Sorsero le opere monumentali dell’Acropoli di Atene (costate, sembra, 2000 talenti, una cifra da capogiro per l’epoca), si pagava l’accesso al teatro per i meno ricchi, si pagavano le cariche pubbliche, si armavano le navi, ecc.  Tutti questi soldi da dove venivano? Non c’erano tasse sulla popolazione; c’era una tassa per l’ultilizzo del porto (corrispondente al 2% del valore delle merci trasportate), si ricorreva molto alle donazioni di privati, e vi erano gli incassi degli affitti di proprietà dello stato e le miniere d’argento del Laurio, per un totale di poche centinaia di talenti. Decisamente insufficienti per permettere le immense spese a cui andava incontro la città. E dunque, da dove venivano gli altri soldi? E’ presto detto: dai tributi pagati dagli alleati della Lega di Delo. Tale Lega era nata all’indomani della Seconda Guerra Persiana, quando il nemico persiano si era solo ritirato, ma lo stato di guerra permaneva. La Lega doveva, infatti, assicurare la sicurezza della Grecia. Non vi entrano a far parte le città del Peloponneso, ma quelle della Ionia, della Tessaglia e, in generale, del Nord della Grecia. Inizialmente, i soldi della Lega venivano conservati a Delo e formalmente le città facenti parte erano sullo stesso piano, sebbene Atene avesse il comando delle operazioni, essendo subentrata a Sparta ed essendo, effettivamente, la più potente. Ma in poco tempo, Atene dimostrò di essere la padrona della Lega, e non solo il capo militare. Il tesoro venne trasferito ad Atene e la distinzione fra entrate dello stato ed entrate della Lega praticamento cessò d’essere. In molte città di quello che stava diventando l’impero di Atene vennero imposti regimi democratici, e spesso magistrati ateniesi vi venivano madati. In breve, non più un’alleanza, ma un impero. E un impero molto duro, poiché Atene era la signora assoluta; entrare nella Lega era libero, ma uscirne era impossibile, a meno di non voler entrare in guerra con la città a capo. L’obbiettivo originario della Lega fu raggiunto: la flotta persiana venne del tutto sconfitta; ma le città della Lega rimasero legate ad Atene in un rapporto di sudditanza completa.
La democrazia radicale si connotò come estremamente aggressiva e guerrafondaia, in particolare durante la Guerra del Peloponneso. Sparta ne venne tirata dentro controvoglia dagli alleati, esasperati dalla politica aggressiva di Atene anche nei loro confronti. Atene, d’altro canto, sembrava impaziente di far guerra alla principale rivale in Grecia, per avere il controllo di tutta l’Ellade. Fu una guerra dura e, a mano a mano che procede, si assiste a una sempre più dura e crudele condotta degli ateniesi, sia contro i nemici, sia contro gli alleati (i tributi furono aumentati e ogni defezione severamente punita) sia contro i neutrali (celebre l’episodio raccontato da Tucidide dell’isola di Melo, i cui abitanti furono uccisi brutalmente o venduti come schiavi). Se in parte questo comportamento può essere imputato al fatto che la città aveva perso la guida di Pericle, ciò non basta a render conto di come la democrazia di Atene si comportò nel corso della guerra.
Alcibiade esortò gli ateniesi a intraprendere una grande operazione contro Siracusa in Sicilia. Già alcuni anni prima ne era stata tentata una di poco inferiore, con esito deludente. Ma Alcibiade, abile e carismatico oratore, riuscì a far votare la proposta. Grandi furono i preparativi e le aspettative (pare che l’idea fosse di conquistare tutta la Magna Grecia e, secondo alcuni storici, anche Cartagine), disastroso l’esito. Alcibiade abbandonò la spedizione quasi subito, per evitare di ubbidire all’ordine che gli ingiungeva di tornare in patria e affrontare il processo per la mutilazione delle erme. E dove si rifugiò? A Sparta! E lì, per farsi benvolere, consigliò di inviare in Sicilia, in aiuto di Siracusa, il comandante spartano Gilippo, e di occupare in modo permanente la fortezza attica di Decelea, interrompendo i rifornimenti di argento (finora infatti gli spartani avevano invaso l’Attica ogni anno, per poi abbandonarla al sopraggiungere dell’inverno). Entrambi i suggerimenti ebbero il loro effetto positivo: in Sicilia l’intero esercito ateniese fu distrutto; o morirono o vennero schiavizzati. Nicia stesso, l’altro stratega mandato con la spedizione e che si era opposto fermamente a che venisse fatta (e, in generale, propendeva per un accordo con Sparta), morì; Atene si trovò mezza assediata, con il nemico perennemente sulla sua terra, e in condizioni finanziarie che incominciavano a farsi gravi. Non contento, Alcibiade si recò in Persia, dove riuscì a far sì che il Gran Re finanziasse Sparta. Fu questo, più di ogni altra cosa, a decretare il fato di Atene. Infatti, ora, Sparta poteva contare sulle formidabili risorse finanziarie dell’Impero Persiano, con le quali poté armare una flotta e finalmente competere sul mare con Atene. Alcibiade riuscì poco dopo a tornare ad Atene, accolto da una folla festante che lo nominò stratego. Dopo una vittoria navale, gli ateniesi rigettarono con arroganza le proposte di pace avanzate da Sparta. Alcibiade perse, e non per sua colpa, una secondaria battaglia navale e venne immediatamente esiliato da Atene (morì poco dopo in Persia, assassinato). Atene si ostinò nella guerra, fino a che non fu costretta a capitolare. Nonostante Tebe e Corinto ne invocassero a gran voce la distruzione, Sparta decise solo di imporre una flotta massima di 12 navi, di abbattere le mura e di instaurare un governo oligarchico.  

Non vi sembra un po’ particolare il comportamento di questa democrazia? Non vi sembra quasi accecata da Ate, spesso evocata nelle tragedie che tanto amava il popolo ateniese? Uno stato impazzito, assurdamento superbo, con enormi progetti impossibili da realizzare e un’ostinazione e una arroganza paurose? Ybris, si potrebbe dire con i greci. Eppure questa è la democrazia su cui dicono di fondarsi quelle attuali. Si può obbiettare che però la democrazia di Pericle non era così. Non è vero. E’ con Pericle che la Lega diviene un impero molto duro, ed è con Pericle che si prepara la guerra con Sparta. Pericle aveva gli stessi desideri e ambizioni del resto del popolo di Atene, solo supportati da una bravura e strategia migliori. Allora si potrebbe obbiettare, come lo stesso Tucidide afferma, che quella di Pericle non era una vera democrazia, ma il governo del primo cittadino, e che i guai sono cominciati quando, morto lui, sono arrivati i demagoghi che lasciavano fare al popolo quello che voleva. Ma era pur sempre l’Assemblea, ovvero il popolo, ad eleggere Pericle e ad approvare, e volere, la guerra e la politica imperialista. Il potere rimaneva comunque nel popolo, ed era esso ad esercitarlo. E teoricamente la democrazia, antica e contemporanea, si basa su questo, non sul potere del primo cittadino.
Se ci pensiamo, effettivamente è su questa democrazia che si basano le nostre. Le radici cristiane nella costituzione europea non sono state inserite non perché non vi siano (sebbene, si inteda, i nostri politici siano convinti che manchino), ma perché non le si vogliono, poiché contrasterebbero pericolosamente con la democrazia che si prospetta. Una democrazia guerriera e militante che, molto più di qualunque religione, è convinta di avere la verità in tasca e d’essere la forma migliore possibile di governo, a cui tutti devono adeguarsi.

mercoledì 11 maggio 2011

Le guerre persiane e 300

Vorrei tracciare un breve e incompleto confronto fra il film 300 e quello che accadde veramente durante le guerre persiane.
Partiamo da un dato di fatto: chi volesse studiare la storia, o anche solo la cultura della Grecia antica, non deve assolutamente vedere il film "300". In quel film non c'è praticamente nulla di storico o di verosimile, salvo la vicenda in sé, cioè la Seconda Guerra Persiana, che sappiamo essere avvenuta davvero. Erodoto avrebbe un infarto, se vedesse quel film. Infatti, Erodoto era un grandissimo estimatore dei persiani e l'idea della lotta fra l'Occidente civilizzato, istruito, bello, buono, ecc, e l'Oriente barbarico, grezzo, cattivo, non compare affatto. Anzi, Erodoto appoggia apertamente i persiani nella rivolta ionica, ovvero la rivolta delle città greche dell'Asia Minore, a cui Atene ed Eretria prestano aiuto inviando delle navi. Fu l'invio di queste navi a dare origine alla Prima Guerra Persiana, poiché il Gran Re Dario I volle vendicarsi. In fondo, le due città gli avevano implicitamente dichiarato guerra. Venne inviata una flotta che sbarcò un esercito presso Eretria, la quale, dopo una settimana di assedio, si vide tradita da un cittadino; le porte furono aperte e la città venne distrutta e la popolazione massacrata (stessa sorte era toccata a Mileto, città dell'Asia Minore, al termine della Rivolta Ionica). L'esercito persiano sbarca poi a Maratona. Atene, nel frattempo, dopo aver optato per una battaglia in campo aperto invece che un assedo, aveva chiesto soccorso a Sparta, ma la guerriera e coraggiosa Sparta si rifiutò di inviare aiuti, a causa di feste religiose. In effetti, i soldati di Sparta arrivarono, ma quando tutto era già concluso. Solo Platea rispose all'appello di Atene, inviando un piccolo contingente. L'esercito di Atene era composto da circa 10000 uomini, mentre quello persiano si crede che fosse all'incirca il doppio. Dopo vari giorni di tentennamento da parte di entrambi gli schieramenti, Milziade (uno dei pochissimi grechi che all'epoca conoscesse bene i persiani e il loro modo di combattimento, per via di contatti economici con loro) risolse per l'attacco. La battaglia durò poche ore e pare che solo 200 greci morirono, mentre i persiani persero 6000 uomini (le cifre son sempre il risultato di una mediazione con le fonti originarie, in questo caso attentibili).
Potremmo chiederci come sia possibile una tale disparità di morti. A parte che non è l'unico caso nella storia, c'è da rilevare soprattutto due cose:
- i greci erano meglio armati e meglio allenati dei persiani (il che non significa affatto ritenere l'esercito persiano composto da schiavi, come vorrebbe il film...);
-la spedizione persiana non era venuta lì per conquistare, ma solo per vendicare. Era un tentativo debole; si può dire che Dario avesse sottovalutato i greci.

Serse decise di andare sul pesante e annettere completamente la Grecia. E qui veniamo al periodo storico trattato dal film. Iniziamo col dire che buona parte dei Greci del nord si sottomisero spontaneamente a Serse, Tebe in prima fila. In fondo, un grande esercito si stava muovendo contro di loro, e non si può dar torto se molte città preferirono sopravvivere invece che esser assediate e distrutte. Anche l'Oracolo di Delfi consigliava di non combattere (forse da qui deriva la scena degli Efori nel film; tuttavia, non esistono elementi che indichino che l'Oracolo delfico fosse stato corrotto. Semplicemente, la cosa più probabile sembrava la sconfitta, pertanto esso consigliava di non opporsi, in modo da salvarsi).
La prima vera battaglia fu combattuta alle Termopili. Ora, quel campo di battaglia fu scelto come compromesso dalla lega antipersiana, a cui partecipavano sia Atene che Sparta, oltre a molte altre città. Sparta era stata scelta come comandante militare della lega, ma, come vedremo, fu uno dei capi ateniesi a garantire la vittoria. Sparta, altamente altruistica nei confronti degli altri greci, intendeva fortificare e difendere l'istmo di Corinto, in modo da impedire l'accesso al Peloponneso, ove era situata Sparta e le sue alleate, abbandonando Atene e le altre città della zona settentrionale all'istmo al loro destino. Naturalmente, Atene si oppose e fu così scelto il passo delle Termopili, dove fu radunato un esercito di circa 5000 uomini, fra cui i 300 famosi spartani, al comando di Leonida. Ora, qui è verosimile che i persiani arrivarono, aggirarono il blocco, e attaccarono. I 5000 si dispersero: rimasero solo gli spartani, i tespiesi e i tebani, obbligati a restare come ostaggio per impedire a Tebe di inviare aiuti ai persiani. Scelsero di restare, e fu un atto corraggioso, in linea con la cultura spartana, ma nulla di più. Non si erano volute veramente difendere le Termopili.
Fra parentesi, non si ha alcuna certezza sul nome e l'identità del traditore che fece da guida ai persiani (lo stesso Erodoto lo dice esplicitamente), e, più che un traditore, potrebbe essere una persona locale ingaggiata dai persiani come guida, poi, a posteriori, definita traditore.
Ora, qui, sarebbe interessante fare un raffronto con gli eserciti presentati nel film.
-L'esercito di Serse non era composto da un milione di uomini, come vogliono sia Erodoto che il film, ma era indubbiamente un esercito molto grande per l'epoca e per gli standard greci, abituati agli eserciti di singole città, che al massimo (e solo le più grandi e potenti) potevano schierare 10000 uomini;
-L'esercito greco, come abbiamo appena detto, non era composto da 300 spartani e 1000 focesi, ma da 5000 soldati, fra cui i 300 e i 1000. Erano inoltre ben armati, probabilmente opliti; certo è che, soprattutto gli spartani, non andavano in battaglia con scudo, elmo, lancia, spada e un mantello rosso. Uno degli elementi di forza della falange oplitica era appunto l'armatura;
-Stranamente, l'esercito persiano potrebbe includere degli elefanti da guerra, ma non sappiamo se erano presenti nella spedizione di Serse (e certo non erano quei mostri enormi che mostrano nel film...);
-I genieri che lanciano delle specie di granate esistevano veramente, e venivano usati soprattutto durante gli assedi, dagli assediati contro gli assedianti. Ma non nei luoghi in cui si svolgono le vicende greco-persiane;
-Rinoceronti da guerra non esistevano;
-Vengono presentate varie strane truppe nel film, più simili a mostri che ad altro: non esistevano naturalmente, né c'erano truppe provenienti dall'Africa, se non dall'Egitto;
-Gli Immortali non erano degli orchi con le maschere, bensì il corpo scelto dell'esercito persiano, composto da 10000 uomini ben addestrati, chiamati così perchè il loro numero rimaneva sempre fisso: morto uno, veniva sostituito immediatamente;
-Non c'erano giganti o cose simili si intende;
-Per quanto ai contemporanei possa dispiacere, i rapporti omosessuali erano tipici dei greci (spartani in primis), e non dei persiani;
-La corte di Serse è inventata di sana pianta. I persiani avevano nella loro religione una fortissima componente morale, per cui il rappresentare la dissoluta corte di Serse in quel modo non è che un attacco sferrato al mondo Orientale;
-E' altamente improbabile che Serse pensasse di conquistare l'Europa, dopo aver preso la Grecia. Gli stessi romani hanno volto lo sguardo a nord solo molto tardi. E' il Mediterraneo quel che interessa tanto ai persiani quanto ai greci.
-L'esercito di Serse non era composto da schiavi, e, in generale, la schiavitù non era monopolio dell'Oriente, anzi. Basti pensare che Sparta si reggeva unicamente sul lavoro degli Iloti, di condizione servile.

Detto questo, possiamo procedere velocemente ad esporre come si consluse la vicenda. Gli ateniesi fuggirono sull'isola di Salamina, mentre Atene (per vendicare l'incendio di Sardi durante la Rivolta Ionica) veniva incendiata. A Salimina era concentrato il grosso della flotta greca, circa 300 navi, con una forte componente di quelle ateniesi, e posta al comando dello spartano Euribiade. La flotta persiana era molto numerosa, e comprendeva navi delle città greche della Ionia e un contigente delle efficienti navi fenice. Ancora una volta, gli spartani volevano trasferire la flotta più a sud, per difendere il Peloponneso, ma Temistocle, comandante del reparto navale d'Atene, fece sì che la battaglia scoppiasse prima che ciò si potesse attuare, poiché, nello stretto spazio di mare disponibile, la superiorità numerica persiana sarebbe stata inutilizzabile, facendo prevalere invece la maggiore manovrabilità delle navi greche. Infatti, i greci vinsero. E fu questa vittoria a decretare la salvezza della Grecia, poiché i persiani si trovarono di colpo senza i mezzi per far arrivare i rifornimenti all'esercito e senza la possibilità di contrastare i greci via mare.
Serse tornò in patria con una parte dell'esercito, lasciando Mardonio in Grecia. A Platea si combattè. Per l'occasione, i greci erano riusciti a radunare un enorme (per loro) esercito, 60000-70000 uomini, fra cui circa 40000 armati come opliti. I persiani erano all'incirca altrettanti, grazie agli aiuti ricevuti dagli alleati greci. Fu complesso per entrambi gli eserciti schierare e muovere tali numeri imponenti, soprattutto perché entrambi i contendenti avevano limitate capacità logistiche. La battaglia rivelò la superiorità della fanteria greca su quella persiana. Ancora una volta, conta molto, per la vittoria, il fatto che l'esercito greco fosse effettivamente superiore sia dal punto di vista militare sia di quello dell'armamento a quello persiano. Come dice Erodoto: "[i persiani] non erano certo inferiori per coraggio o per forza, ma, oltre ad essere privi di armatura oplitica, erano inesperti e impari ai nemici nell'arte militare". Sempre nella medesima estate, la flotta persiana fu del tutto distrutta a Capo Micale.

Ora, dobbiamo ricordarci che le fonti di queste due guerre sono solo di parte greca. E' greca l'enfasi sull'importanza e la grandiosità di queste guerre. Per il mondo greco, senza dubbio, furono grandi e fondamentali. Ma per i persiani? La prima, indubbiamente, fu un fatto completamente secondario, i soliti problemucci di provincia. La seconda, sebbene preparata con grande apparato, alla fine è stata solo una sconfitta, sconfitta che, fra l'altro, non intaccò l'impero persiano in sè e che aveva avuto, ad ogni modo, le sue soddisfazioni (come l'incendio di Atene). Non era una sconfitta completa, insomma. Dunque, non è del tutto irreale la possibilità che per i persiani non sia stata, dopo tutto, la tragedia e la disfatta che i greci lascerebbero credere. Soprattutto, a differenza del film, non è stata la vittoria del buono e giusto Occidente con il crudele e ingiusto Oriente.

mercoledì 27 aprile 2011

Vampiri e Chiesa Cattolica

Navigando su internet mi sono imbattuto per caso in un sito che si poneva la domanda: Esistono i vampiri? (http://www.lollymagic.it/defaultxhtml/qs_Storie-e-racconti/id_1/Dietro+al+mito+dei+vampiri.html).
Rispetto al sito che parlava dei Lupi Mannari, questo è decisamente meglio, avendo un taglio più scientifico; tuttavia, anch’esso si lascia traviare dal senso comune e accusa la Chiesa Cattolica di cose che non ha fatto. 
Innanzi tutto, andrebbe ben spiegato che cosa si dovrebbe intendere col termine “vampiro”. Il vampiro è un qualsiasi essere che si nutra del sangue altrui. Per questo, si possono classificare come vampiri un’enorme quantità di creature delle varie mitologie e leggende del mondo, e solo una parte sono, come crediamo ormai noi oggigiorno, dei “non morti”. “Vampiro” è un nome “tecnico” per intendere un vastissimo insieme di esseri. Questo volendo rimanere sul piano mitologico, poiché, come si sa, i pipistrelli vampiro esistono (Desmodus rotundus, Diphylla ecaudata e Diaemus youngi) e sono pipistrelli che praticano una piccola ferita alla vittima e ne leccano il sangue che ne esce.
Restringiamo pure l'ambito di indagine ai "vampiri" europei (e anche qui vi sono diversissimi tipi di vampiro). Quanto dice l'articolo in questione circa le varie malattie può essere una valida spiegazione, e non contesto minimamente quella parte. Mi oppongo a quando parla della Chiesa Cattolica. Innanzi tutto, la perfetta incarnazione del Demonio, nel Medioevo, era il gatto nero (e non era una incarnazione). Il gatto nero è il simbolo principale del Diavolo, insieme al serpente e al dragone. Il caprone anche diviene un po' alla volta molto comune. Che il Diavolo potesse assumere forma umana era creduto, e pure che un diavolo potesse continuare ad animare un corpo dopo che l'anima l'aveva lasciato. Ciò, tuttavia, non porta ai vampiri, e nemmeno alla caccia di presunti "diavoli in terra". E' lo stesso discorso dei lupi mannari. La Chiesa Cattolica e il Sant'Uffizio e l'Inquisizione Spagnola, come per le streghe e per i lupi mannari, erano altamente dubbiose anche circa i vampiri. Non si deve fare l'errore di credere che all'epoca fossero più ignoranti o più stupidi di adesso. Potrebbe essere il contrario, invece.
Se per i lupi mannari conoscevo anche io vari esempi di processi contro di loro, e il sito in questione in quel mio precedente post ne forniva appunto alcuni, per i vampiri non mi sovviene alcun caso, né l'articolo qui in oggetto ne fa.


"Infine, per concludere la mia ricerca dico solamente che nessuna forza paranormale colpiva queste persone, nessun demonio e certamente nessuna spiegazione satanica v'era alla base di tutto. Quest persone erano costrette a vivere in uno stato di isolamento, braccate dalla Chiesa e dall'ignoranza dell’epoca." (dal su citato articolo)

Stranamente, nella stragrande maggioranza dei casi la Chiesa Cattolica sarebbe d'accordo, tanto una volta quanto oggi, nel ritenere che quelle persone non erano possedute né influenzate in alcun modo dal Demonio. Molte di coloro che affermarono in ambiente italiano o spagnolo di esser streghe, furono semplicemente giudicate pazze (o furono buttate in cella in attesa che l'ubriacatura passasse...). Nei casi in cui il popolo si faceva giustizia da sé, c'erano anche gli Inquisitori che obbligavano i responsabili a risarcire la famiglia della presunta strega/lupo mannaro/vampiro. Gli Inquisitori italiani e spagnoli avevano ben altro da fare che perdere il loro tempo dietro a streghe, lupi mannari e vampiri. Il Sant'Uffizio e l'Inquisizione Spagnola erano nate per combattere l'eresia (e, la seconda, anche gli ebrei e gli islamici), non per inseguire le superstizioni già messe al bando da secoli dalla Chiesa Cattolica.
E' stancante vedere articoli che potrebbero anche essere interessanti e istruttivi scadere enormemente perché contengono pregiudizi circa la Chiesa Cattolica. Il Senso Comune impera.


Desidero specificare, inoltre, che l'avversione del vampiro alla croce non deriva dal fatto che presunti vampiri sarebbero stati uccisi dall'Inquisizione Cattolica, ma semplicemente perché, nella cultura del cristianesimo (che, nonostante lo si neghi, è la cultura d'Europa), la Croce, su cui è stato crocefisso Cristo, ha vinto il male (nel caso di Stoker, simboleggiato dal vampiro).

In appendice, aggiungo una breve spiegazione circa il vampiro di Stoker e come la cultura successiva l'ha rivisitato.
-Dracula non è un giovane affascinante e dannato; non possiede nessuna bellezza sovrumana.
-Non diviene cenere alla luce del sole. Durante il dì, è impossibilitato ad utilizzare le sue capacità sovrannaturali (solo a mezzogiorno può cambiare forma, se lo desidera) e se all'alba dorme, non può più svegliarsi fino a sera. Difatti, Dracula viene ucciso nell'istante in cui il sole tramontava, e si trovava in un luogo aperto, esposto al sole.
-Non è necessario un paletto di legno/argento per ucciderlo; infatti muore a causa di un pugnale (non rammento se gli tagliano la gola o lo traffiggono al cuore). Il paletto di legno era uno strumento usato in più luoghi, soprattutto nel mondo slavo, per impedire ai morti di lasciare la tomba (conficcandolo, appunto, nel cuore del cadavere una volta seppellito).
-Non si muove a velocità immensa, sì che pare si teletrasporti, come si vede nei film d'oggigiorno. Questa idea è nata, a mio parere, dal fatto che Dracula possa tramutarsi in nebbia (infatti il vampiro è strettamente legato alla figura del fantasma), muovendosi in questo modo molto velocemnete e riuscendo, ovviamente, a passare attraverso piccole aperture.
-L'animale-simbolo di Dracula è il lupo, non il pipistrello.
-Dracula possiede un certo potere ipnotico, ma la libertà della eprsona, infine, prevale sempre (come mostra il caso di Renfield, che si ribella a Dracula per salvare Mina).
-Comanda su lupi, ratti e animali affini.
-Deve riposare sul terreno della sua terra natia (infatti Dracula si porta in Inghilterra un bel po' di casse colme della terra del suo castello transilvano, e i protagonisti positivi del libro passano una buona parte della storia a cercare i nascondigli delle casse e a distruggerle).
-La croce, ma anche l'ostia consacrata e altri simili oggetti, lo respingono. Una croce sul petto di Lucy le avrebbe impedito di rialzarsi come vampira.

Ve ne sono altre che al momento non mi sovvengono, ma che aggiungerò.
Sono il cinema e i libri successivi ad aver creato l'idea di vampiro che abbiamo noi, la quale non esisteva in Stoker né nei racconti sui vampiri precedenti a "Dracula", né nella cultura ancora precedente. Ora il vampiro è di solito estremamente bello, giovanile (anche se vivo da diverso tempo), tormentato e pieno di rimorsi e pentimenti. Ve ne sono un mucchio, che vivono nascosti in mezzo a noi, si muovono alla velocità della luce, ipnotizzano la gente, si tramutano in vari animali, sono estremamente forti, muoiono solo a causa di sole (a meno che non abbiano strani anelli magici!), paletti di legno/argento o per decapitazione. Uccidono una persona a notte (nel libro, Dracula ci impiega almeno un mese a uccidere Lucy) e sono molto più “concreti” rispetto al Dracula di Stoker (che, come detto, ha più cose in comune coi fantasmi, e con gli Incubi) e sono spesso in guerra coi lupi mannari (da dove sia nata questa idea non riesco a immaginare). Il vampiro è diventato il moderno antieroe, ma è ormai totalmente diverso dai modelli originali.