Nel giornalino
scout FSE “Tracce” di Maggio si affronta il tema dela paura. Due articoli mi
hanno interessato maggiormente, non per le profonde verità espresse ma per i
sottili errori che vi trovo.
Il primo dei due
è scritto da una delle capo o aiutocapo, non è specificato. Inizia raccontando
che da piccola aveva paura del buio e che in particolare vi era un lungo
corridoio della sua casa alla fine del quale vi era il truce ritratto di una
antenata che temeva di attraversare. Per risolvere il problema si era creata
una specie di amico immaginario che la proteggeva. Nel mezzo si accenna anche a
Don Abbondio, che diceva: “Il coraggio, uno non se lo può dare”, affermando di
aver sempre provato rabbia verso il personaggio e quelli come lui. L’articolo
si conclude come segue:
“Sono passati
tanti anni, ogni tanto ho ancora paura del buio. L’amico inventato a volte
torna, ma per ricordarmi che non ho più bisogno di lui, ora ce la devo fare da
sola”.
Farcela da sola?
Questo è uno degli innumerevoli problemi dell’uomo occidentale odierno, la
convinzione di potercela fare da solo. Questa fissazione, come si vede, la si
ritrova anche fra gli scout FSE, teoricamente cattolici, e non fra i ragazzini
e i bambini, ovvero fra gli esploratori e i lupetti, bensì in primo luogo fra i
rover e le scolte, ovvero gli aiuti capi e i capi.
L’arroganza e la
stupidità dell’uomo contemporaneo si esprimono benissimo nel convincimento di
poter vincere la paura da soli, con le proprie sole forze. Mettiamo pure, per
ipotesi, che da soli si possa vincere la paura del buio, ammettiamolo pure. Quando
si va a vedere la vera paura, ovvero la paura più profonda di cui quella del buio è
solo una manifestazione, la paura dell’ignoto, come la mettiamo? L’uomo teme l’ignoto,
ciò che non può conoscere e che non comprende, e il dopo morte è per eccellenza
l’ignoto e ciò che non è conoscibile e comprensibile. L’uomo occidentale al
momento ha esorcizzato questa paura con l’espediente di relegarla nei cimiteri e negli ospedali, ovvero a quando si è costretti a trovarsela innanzi. Di fatto,
non l’ha vinta, l’ha solo nascosta, facendo finta che non esista. Il risultato
ovvio e scontato di questo atteggiamento è che quando si è costretti, per
qualunque motivo, a dover trattare con questa paura, non si è pronti e si viene
vinti in un attimo. Montaigne consigliava di pensare alla morte ogni giorno,
per non farsi trovare impreparati. Non era poco saggio tale consiglio. Farlo non
significa vivere nella paura della morte; significa accettarla con serenità.
I cattolici,
come dovrebbero esserlo gli scout, dovrebbero riuscire a farlo con una facilità
maggiore, poiché, nel loro caso, cade l’ignoto. I credenti sanno, sebbene non
nei dettagli e come, cosa c’è dopo la morte.
Ma nemmeno
questo basta perché l’uomo possa farcela da solo. Il coraggio non appartiene
alle virtù teologali, sicché l’uomo può costruirsi la virtù del coraggio. Può costruirla,
senza calce. La calce gliela deve dare qualcun altro. Senza questo qualcun
altro, quando il vento soffierà con più violenza o quando la terra tremerà con
più forza o quanto l’acqua cadrà dal cielo con più veemenza, la casa, non
tenuta assieme da nulla, andrà in pezzi.
Questo qualcun
altro è Dio e la calce che egli dona è la Fede, la sua forza e il suo sostegno,
senza i quali l’uomo non potrebbe nemmeno respirare. L’uomo non può farcela da
solo. Ha bisogno di Dio.
Anche al povero
Don Abbondio il cardinale dice, infine, che si trtta di confidare in Dio, che
vince le umane debolezze e paure.
Nello stesso
giornalino vi è un articolo di un sacerdote, Don Fabio Gollinucci.
Dopo la
citazione del brano della Genesi in cui il Serpente tenta Eva e lei ed Adamo si
nascondono da Dio per paura, il
sacerdote annuncia di avere una buona notizia per il lettore.
“Infatti quello
che sto per annunciarti non è una bella tesi filosofica o teologica.”.
Ho sempre notato
che il mondo scoutistico non è particolarmente incline alla filosofia e alla
teologia e questa frase mi fa supporre che anche i sacerdoti che lavorano
assieme agli scout rimangano contaminati da questo atteggiamento. Al di là di
questo e al di là dell’articolo, con il cui messaggio di fondo sono d’accordo
(ovvero che Dio cerca sempre di ricostruire il rapporto con l’uomo e che senza
Dio l’uomo è perso e in preda alla paura), al di là di tutto questo mi ha
colpito l’affermazione, che il sacerdote trae dal brano della Genesi detto sopra, che:
“Il male non
viene mai da Dio e nemmeno dall’uomo, ma dall’esterno, come un inganno che lo
spinge a non fidarsi più di Dio e per paura fare scelte sbagliate (ma questo
non toglie all’uomo la sua libertà di fondo)”.
E da dove viene
il male allora? Come accade sempre più spesso con i sacerdoti odierni, e in
generale con i cristiani d’oggi, il Diavolo, che pure aleggia vagamente sullo
sfondo, non viene nominato. Troppa paura per chiamarlo in causa e riconoscergli
il ruolo e il potere che ha? O troppo astuto e abile il Diavolo che è riuscito
ormai a farsi dimenticare dall’umanità, compresi i preti? Lo ignoro. In ogni
caso, se il male viene dall'esterno, vuol dire che qualcuno o qualcosa, che è
esterno, lo fa venire in contatto con l’uomo. È il nome di questo qualcuno/qualcosa
che non viene menzionato dal sacerdote, sì che potrebbe pure non essere il
Diavolo. Ad ogni modo, qualunque cosa sia, posto che il male è sempre esterno,
vuol dire che questa cosa è il Male. Se lo è, però, allora sarebbe qualcosa di
pari a Dio.
Se considerassimo
il male qualcosa di interno prima che esterno, la cosa acquisterebbe più senso
invece. Nulla era malvagio in origine, nemmeno Lucifero. E’ stata una scelta
del Diavolo quella del male, il che significa che il male lo precedeva, oppure
che è comparso con lui. Il male è uno stato, l’essere separati da Dio. Il
Signore, donando la libertà, ha concesso la possibilità del male. Il male era in
potenza. Satana è stato il primo a trasformare la potenza in atto. Poi ha
spinto l’uomo a fare altrettanto, ma è sempre una scelta personale dell’uomo. Era,
e siamo, liberi di scegliere. La tentazione è esterna, non il male, poiché il
male deriva da una scelta che è interna all’uomo. Il Serpente è solo un fattore
contingente che tenta Eva; è Eva che sceglie il male internamente.
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