mercoledì 9 maggio 2012

Sulla paura


Nel giornalino scout FSE “Tracce” di Maggio si affronta il tema dela paura. Due articoli mi hanno interessato maggiormente, non per le profonde verità espresse ma per i sottili errori che vi trovo.
Il primo dei due è scritto da una delle capo o aiutocapo, non è specificato. Inizia raccontando che da piccola aveva paura del buio e che in particolare vi era un lungo corridoio della sua casa alla fine del quale vi era il truce ritratto di una antenata che temeva di attraversare. Per risolvere il problema si era creata una specie di amico immaginario che la proteggeva. Nel mezzo si accenna anche a Don Abbondio, che diceva: “Il coraggio, uno non se lo può dare”, affermando di aver sempre provato rabbia verso il personaggio e quelli come lui. L’articolo si conclude come segue:

“Sono passati tanti anni, ogni tanto ho ancora paura del buio. L’amico inventato a volte torna, ma per ricordarmi che non ho più bisogno di lui, ora ce la devo fare da sola”.

Farcela da sola? Questo è uno degli innumerevoli problemi dell’uomo occidentale odierno, la convinzione di potercela fare da solo. Questa fissazione, come si vede, la si ritrova anche fra gli scout FSE, teoricamente cattolici, e non fra i ragazzini e i bambini, ovvero fra gli esploratori e i lupetti, bensì in primo luogo fra i rover e le scolte, ovvero gli aiuti capi e i capi.
L’arroganza e la stupidità dell’uomo contemporaneo si esprimono benissimo nel convincimento di poter vincere la paura da soli, con le proprie sole forze. Mettiamo pure, per ipotesi, che da soli si possa vincere la paura del buio, ammettiamolo pure. Quando si va a vedere la vera paura, ovvero la paura più profonda di cui quella del buio è solo una manifestazione, la paura dell’ignoto, come la mettiamo? L’uomo teme l’ignoto, ciò che non può conoscere e che non comprende, e il dopo morte è per eccellenza l’ignoto e ciò che non è conoscibile e comprensibile. L’uomo occidentale al momento ha esorcizzato questa paura con l’espediente di relegarla nei cimiteri e negli ospedali, ovvero a quando si è costretti a trovarsela innanzi. Di fatto, non l’ha vinta, l’ha solo nascosta, facendo finta che non esista. Il risultato ovvio e scontato di questo atteggiamento è che quando si è costretti, per qualunque motivo, a dover trattare con questa paura, non si è pronti e si viene vinti in un attimo. Montaigne consigliava di pensare alla morte ogni giorno, per non farsi trovare impreparati. Non era poco saggio tale consiglio. Farlo non significa vivere nella paura della morte; significa accettarla con serenità.
I cattolici, come dovrebbero esserlo gli scout, dovrebbero riuscire a farlo con una facilità maggiore, poiché, nel loro caso, cade l’ignoto. I credenti sanno, sebbene non nei dettagli e come, cosa c’è dopo la morte.
Ma nemmeno questo basta perché l’uomo possa farcela da solo. Il coraggio non appartiene alle virtù teologali, sicché l’uomo può costruirsi la virtù del coraggio. Può costruirla, senza calce. La calce gliela deve dare qualcun altro. Senza questo qualcun altro, quando il vento soffierà con più violenza o quando la terra tremerà con più forza o quanto l’acqua cadrà dal cielo con più veemenza, la casa, non tenuta assieme da nulla, andrà in pezzi.
Questo qualcun altro è Dio e la calce che egli dona è la Fede, la sua forza e il suo sostegno, senza i quali l’uomo non potrebbe nemmeno respirare. L’uomo non può farcela da solo. Ha bisogno di Dio.

Anche al povero Don Abbondio il cardinale dice, infine, che si trtta di confidare in Dio, che vince le umane debolezze e paure.


Nello stesso giornalino vi è un articolo di un sacerdote, Don Fabio Gollinucci.
Dopo la citazione del brano della Genesi in cui il Serpente tenta Eva e lei ed Adamo si nascondono da Dio per paura, il sacerdote annuncia di avere una buona notizia per il lettore.
“Infatti quello che sto per annunciarti non è una bella tesi filosofica o teologica.”.
Ho sempre notato che il mondo scoutistico non è particolarmente incline alla filosofia e alla teologia e questa frase mi fa supporre che anche i sacerdoti che lavorano assieme agli scout rimangano contaminati da questo atteggiamento. Al di là di questo e al di là dell’articolo, con il cui messaggio di fondo sono d’accordo (ovvero che Dio cerca sempre di ricostruire il rapporto con l’uomo e che senza Dio l’uomo è perso e in preda alla paura), al di là di tutto questo mi ha colpito l’affermazione, che il sacerdote trae dal brano della Genesi detto sopra, che:
“Il male non viene mai da Dio e nemmeno dall’uomo, ma dall’esterno, come un inganno che lo spinge a non fidarsi più di Dio e per paura fare scelte sbagliate (ma questo non toglie all’uomo la sua libertà di fondo)”.
E da dove viene il male allora? Come accade sempre più spesso con i sacerdoti odierni, e in generale con i cristiani d’oggi, il Diavolo, che pure aleggia vagamente sullo sfondo, non viene nominato. Troppa paura per chiamarlo in causa e riconoscergli il ruolo e il potere che ha? O troppo astuto e abile il Diavolo che è riuscito ormai a farsi dimenticare dall’umanità, compresi i preti? Lo ignoro. In ogni caso, se il male viene dall'esterno, vuol dire che qualcuno o qualcosa, che è esterno, lo fa venire in contatto con l’uomo. È il nome di questo qualcuno/qualcosa che non viene menzionato dal sacerdote, sì che potrebbe pure non essere il Diavolo. Ad ogni modo, qualunque cosa sia, posto che il male è sempre esterno, vuol dire che questa cosa è il Male. Se lo è, però, allora sarebbe qualcosa di pari a Dio.
Se considerassimo il male qualcosa di interno prima che esterno, la cosa acquisterebbe più senso invece. Nulla era malvagio in origine, nemmeno Lucifero. E’ stata una scelta del Diavolo quella del male, il che significa che il male lo precedeva, oppure che è comparso con lui. Il male è uno stato, l’essere separati da Dio. Il Signore, donando la libertà, ha concesso la possibilità del male. Il male era in potenza. Satana è stato il primo a trasformare la potenza in atto. Poi ha spinto l’uomo a fare altrettanto, ma è sempre una scelta personale dell’uomo. Era, e siamo, liberi di scegliere. La tentazione è esterna, non il male, poiché il male deriva da una scelta che è interna all’uomo. Il Serpente è solo un fattore contingente che tenta Eva; è Eva che sceglie il male internamente.




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